Non muri, ma ponti
Dal 5 al 7 ottobre 2018 si è svolta a Stoccarda presso il Centro di Spiritualità e nelle sale della parrocchia di St. Konrad l’annuale Scalabrini-Fest dei Frutti. Il tema, approfondito in modi diversi dai partecipanti delle più varie origini, lingue e età, era “Non muri, ma ponti”. Il principale relatore è stato p. Tobias Keßler, missionario scalabriniano che lavora presso l’Istituto Chiesa nel Mondo e Missione (Institut für Weltkirche und Mission) con sede presso l'Istituto Superiore di Filosofia e Teologia Sankt Georgen di Francoforte. Il suo intervento è stato il punto di partenza per i diversi gruppi di scambio e di incontro durante la Festa.
Il tema “Non muri, ma ponti” sembrerebbe a prima vista abbastanza facile da trattare. Questa formulazione contiene già una preferenza che suona plausibile, secondo il motto: “i ponti sono meglio dei muri”. Tuttavia, ad un esame più attento, risulta che ci sono chiaramente anche delle eccezioni. Prima di tutto, si può dire che i muri sono dei confini che delimitano uno spazio interno rispetto all’esterno, come le pareti di una casa. Vi sono frontiere naturali: fiumi, valli, montagne, mari,… e vi è la finitezza dei corpi, cioè il confine che è la nostra pelle, la superficie grazie alla quale ci distinguiamo dall’ambiente esterno.
La creazione del mondo nella Sacra Scrittura viene descritta come una serie di distinzioni: “Dio separò la luce dalle tenebre” (Gen 1,4), “le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento” (Gen 1,7), il mare dalla terra ferma (cfr. Gen 1,9-10). Anche la creazione dell’essere umano è caratterizzata da una distinzione: “maschio e femmina li creò” (Gen 1,27). È importante ricordare che ciascuna realtà o creatura distinta mantiene sempre la sua relazione con un’alterità corrispondente. Lo si può illustrare facilmente con l’esempio dei colori.
Se tutto fosse rosso, non avremmo bisogno della parola “rosso”, perché non ci sarebbe distinzione. Posso dire “rosso” solo quando esiste anche il verde o il blu, o altri colori ancora.
Applicando questo alle persone e alla loro identità, si può dire che per definire me stesso ho sempre bisogno anche dell’altro. Non sono niente a partire da me stesso, ma solo in collegamento e nella relazione con l’altro. Non posso dire “donna” senza pensare al tempo stesso al concetto di “uomo”. Non posso dire “io” se non c’è un “tu”.
Tracciare i confini
Esistono, però, anche tanti confini stabiliti, cioè costruiti, che non sono naturali. Si tratta di frontiere discorsive, cioè generate a livello comunicativo. Tali confini possono anche essere pericolosi perché in genere per poterli tracciare non è necessario che corrispondano davvero alla realtà. Perché abbiano un effetto è sufficiente che molte persone credano nella loro esistenza. Riprendendo l’esempio della distinzione tra uomo e donna, la frase “le donne sono diverse” può essere una semplice costatazione, una presa in considerazione benevola di questa differenza, per tenerne conto e assumerla. Tuttavia, può essere anche utilizzata per legittimare la disparità di trattamento e la discriminazione. A volte certi discorsi possono avere un impatto non perché dicono la verità, ma perché sembrano plausibili.
Si dice sempre, per esempio, che la nostra società è culturalmente omogenea e che l’immigrazione distrugge questo stato di cose. La società stessa crede di essere omogenea. In realtà, si tratta di un errore, ma a volte basta che molti ci credano perché sia ritenuto vero. Oppure si afferma che “tenendo conto della capacità di accoglienza, è necessario stabilire un tetto massimo all’immigrazione”. Ad un primo sguardo sembra un discorso ragionevole, ma se esaminiamo meglio le cifre, vediamo che addirittura avremmo bisogno di più immigrazione. (…)
“Noi” e “gli altri”
La distinzione tra un “noi” e i presunti “altri” è un esempio di confine stabilito che può diventare pericoloso. Qui è da notare in special modo la funzione della congiunzione “e” che implica un’equiparazione, una coesistenza con uguali diritti. Però quando diciamo “noi e gli altri”, non di rado corriamo il pericolo di preferire il “noi” e di considerarlo superiore. Questo conduce anche all’esclusione degli altri: alla divisione tra quelli che stanno fuori e noi che siamo dentro.
Nel nostro gruppo di appartenenza si dà per scontato un certo livello di consenso e di comunanza. Si parte dal presupposto che tutti ci capiamo. In realtà, non è sempre vero. Anche all’interno del gruppo di appartenenza ci scopriamo differenti. Il presunto “noi” non è poi tanto omogeneo come sembra. Quando poi qualcuno improvvisamente si dissocia, dichiara di essere diverso e decide di uscire dal gruppo in cui si pensava di essere tutti uguali, allora non gli si lascia spazio libero. Lo si trattiene, affermando che deve sottomettersi o adeguarsi. Il tentativo di distacco viene sanzionato socialmente: la persona che si discosta viene messa sotto pressione e punita. Qualcosa di simile è accaduto nella costruzione della Torre di Babele.
Dall'intervento di P.Tobias
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